immagine da Masao Ebina
PERSONAGGI PRINCIPALI
– Genji
– Murasaki
– Fujitsubo
– Ministro della Sinistra
– Hyobukyo
– Reikeiden
– Dama del Villaggio dei Fiori Caduchi
– To no Chujo
– Oborozukiyo
– Erede Legittimo
– Rokujo
– Imperatore Suzaku
– Kokiden
– Ex Governatore di Akashi (明石入道 Akashi no nyūdō): eremita, padre della Dama di Akashi
– Dama di Akashi (明石の方 Akashi no kata): figlia dell’ex Governatore della provincia di Akashi (v. cap. 5)
RIASSUNTO DEL CAPITOLO
Genji, sempre più duramente avversato dai suoi detrattori a Corte, si risolve a lasciare la capitale ed esiliarsi a Suma.
Prima della partenza prende commiato dalle persone a lui più care: Fujitsubo, l’ex Ministro della Sinistra e il piccolo figlio di Aoi, l’Erede Legittimo, Reikeiden e la Dama del Villaggio dei Fiori Caduchi.
Particolare preoccupazione desta in lui Murasaki, abbandonata dal padre timoroso di offendere i potenti mostrandosi interessato a una persona vicina a Genji; la fanciulla dal canto suo è abbattutissima al pensiero di separarsi dal suo amato per un tempo indefinito.
Dopo una visita alla tomba dell’Ex Imperatore Genji si mette in viaggio e giunge allo sperduto villaggio marittimo di Suma.
Molti a Corte si addolorano per il suo allontanamento ma la paura delle ire di Kokiden li trattiene dal mostrargli solidarietà.
Il suo monotono esilio è rallegrato di tanto in tanto dalle missive dei suoi vecchi amici, tra cui Oborozukiyo e Rokujo.
L’Imperatore Suzaku nel frattempo, dopo molti tentennamenti, richiama presso di sé Oborozukiyo e pur dispiaciuto dal saperla innamorata di un altro la tratta con grande tenerezza. Il Sovrano è come molti sudditi affranto dalla triste sorte toccata al fratello ma non riesce ad opporsi alla madre e ai suoi seguaci.
L’ex Governatore della Provincia, ora prete secolare, venuto a conoscenza della presenza di Genji nelle vicinanze pensa a come fargli incontrare la figlia, Dama di Akashi, che vorrebbe dargli in sposa.
To no Chujo, a sua volta in difficoltà per la situazione politica, decide comunque di far visista all’amico portandogli grande conforto.
Durante la Cerimonia di Purificazione una forte tempesta si scatena improvvisamente; a Genji appare in sogno il Re del Mare desideroso di trattenerlo a lungo presso le rive del suo dominio. Turbato da questo cattivo presagio il giovane cade in un grave abbattimento.
COMMENTO
Dopo averci abituato a pagine di lodi alla bellezza di Genji, alla sua intelligenza, alle sue infinite qualità, all’amore che lo ha sempre circondato, Murasaki vira bruscamente e ci mostra il Principe come uomo colpito dalla sfortuna, non più come essere impeccabile, quasi un semi-dio.
Invece di crogiolarsi nel semplice racconto delle avventure galanti di un affascinante giovane protetto dall’ovattato ambiente della Corte di Heiankyo l’autrice rimescola le carte in tavola e, appena un attimo prima che scattino la noia e l’irritazione per una tale perfezione, ci mostra il suo protagonista colto in fallo, accusato, biasimato, infine costretto ad allontanarsi dal suo piccolo mondo conosciuto e costretto a scontrarsi con la realtà che sta fuori.
Abbandonato da molti di quelli che per tutta la vita gli avevano mostrato devozione, timorosi di attirarsi le inimicizie della nuova fazione dominante, Genji osserva ancora una volta come la vita umana sia effimera e il potere e la gloria non siano cose su cui fare affidamento, tanto è instabile e imprevedibile il destino di ognuno.
Memore dei suoi errori passati – in particolare la relazione proibita con Fujitsubo – il Principe attribuisce le sue disgrazie alla sempre presente influenza del karma.
Anche una terribile tempesta si scatena contro di lui, a simboleggiare come il credo buddhista si fonda con quello shintoista che crede che la natura sia pervasa di presenze spirituali. Il sincretismo tra queste due religioni è un aspetto fondamentale della cultura giapponese, che verrà approfondito successivamente.
CITAZIONI
Fino allora, la sua vita non era stata che un lungo succedersi di disgrazie. Quanto all’avvenire, non era certo il caso di pensarci! Era chiaro che per lui il mondo non aveva in serbo che delusioni e dispiaceri. (P. 313)
Ma pareva destinato che in tutta quella lunga relazione ciascuno dei due, per quanto ben disposto, non dovesse cagionare all’altro se non tormento. (P. 314)
Ci dicono, – rispose Genji, – che tutto quanto ci succede in questa vita è il risultato della nostra condotta in qualche precedente esistenza. Se ciò va preso alla lettera, ora suppongo di dover accettare il fatto che in una vita precedente ho commesso qualche cattiva azione. (P. 316)
Veramente, – essa rispose, – «addio» è un mostro tra le parole, e ancora non è mai risonata amorevole ad alcun orecchio. (P. 318)
La luna splendeva rossa sull’orlo del cielo, e nella sua luce bizzarra egli appariva così bello, e così triste tuttavia e pensoso, che al vederlo perfino i cuori dei lupi e delle tigri, che dico, perfin quello di un demone, si sarebbero mossi a pietà. (P. 316)
Sicché le porte della sua casa, in altri tempi varcate da una continua folla di cavalieri e di equipaggi, quella mattina egli le vide squallidamente deserte, e con amarezza si rese conto di quanto sia fragile l’edificio del potere terreno. (P. 317)
Come la notte precedente, la luna era sul punto di tramontare; e a Genji parve il simbolo delle proprie fortune in declino. (P. 322)
È sciocco, – soggiunse, – sciupare il presente piangendo per le afflizioni che devono ancora venire. (P. 323)
E a un tratto egli sentì che il mondo era abitato da una genia di vili e spregevoli creature, nessuna delle quali era degna che ci si affannasse per lei. (P. 328)
Ed ecco là il suo specchio. Egli l’aveva lasciato come aveva scherzosamente promesso di fare nella sua poesia; ma aveva portato con sé la propria immagine, e a che serviva uno specchio dove si rifletteva un altro viso invece del suo! (P. 332)
Era un pazzo quel poeta che pregava di poter sapere ciò che sarebbe successo alla sua amante dopo che lui se n’era andato. O gli importava poco di lei, o sicuramente avrebbe preferito non saperlo. (P. 336)
«Ecco un uomo che, discepolo dei Budda Sakyamuni, gli si prosterna e all’ombra dell’Albero della Conoscenza toccato dalla luna implora di trovar riparo dai nembi del cruccio e della morte» (P. 339)
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